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8 le confessioni d’un ottuagenario.

dal minacciare agl’imperiali il disfavore de’suoi stivali. Quando il signor conte parlava tacevano anche le mosche, quando avea finito di parlare, tutti dicevano di sì secondo i propri gusti o colla voce o col capo; quando egli rideva ognuno si affrettava a ridere; quando sternutiva anche per causa del tabacco, otto o nove voci gridavano a gara: viva; salute; felicità; Dio conservi il signor conte! — quando si alzava tutti si alzavano, e quando partiva dalla cucina, tutti, perfino i gatti, respiravano con ambidue i polmoni, come si fosse lor tolta dal petto una pietra da mulino. Ma più rumorosamente d’ogni altro respirava il cancelliere, se il signor conte non gli facea cenno di seguirlo e si compiaceva di lasciarlo su tepidi ozi del focolare. Convien però soggiungere che questo miracolo avveniva di rado. Per solito il cancelliere era l’ombra incarnata del signor conte. Si alzava con lui, sedeva con lui, camminava con lui, e le loro gambe s’alternavano con sì giusta misura che pareva rispondessero ad una sonata di tamburo. Nel principiar di queste abitudini, le frequenti diserzioni della sua ombra avevano indotto il signor conte a volgersi ogni tre passi per vedere se era seguitato secondo i suoi desiderii. Sicchè il cancelliere erasi rassegnato al suo destino, e occupava la seconda metà della giornata nel raccogliere le pezzuole del padrone, nell’augurargli salute ad ogni sternuto, nell’approvare le sue osservazioni e nel dire quello che giudicava dovesse riuscirgli gradito delle faccende giurisdizionali. Per esempio, se un contadino accusato di appropriarsi le primizie del verziere padronale, rispondeva alla paternale dei cancelliere facendogli le fiche, ovverosia cacciandogli in mano un mezzo ducatino per risparmiarsi la corda, il signor cancelliere riferiva al giurisdicente, che quel tale spaventato dalla severa giustizia di Sua Eccellenza avea domandato mercè, e che era pentito del malfatto e disposto a rimediarvi con qualunque ammenda s’avesse stimato oppor-