Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/302


capitolo sesto. 275


qualche bottiglia di maraschino, e qualche torta delle monache di san Vito, variavano i divertimenti della brigata.

Anche il nobiluomo, dal canto suo, avea trovato pane per i suoi denti. Senza mostrarsi in pratica diverso da’suoi nonni, era egli intinto accademicamente della filosofia moderna: e sapeva citare all’uopo col suo largo accento veneziano qualche frase di Voltaire e di Diderot. Tra i curiali, e nel clero della città, non mancavano spiriti curiosi ed educati come il suo, che dividevano scrupolosamente la dottrina dalla realtà, e così conversando non temevano di porre in questione, ed anco di negare, quello che, se occorreva poi per ragion di mestiere, avrebbero professato certo e indubitabile. Si sa come erano larghe le consuetudini del secolo scorso su questo capitolo; a Venezia erano più larghe che altrove; a Portogruaro larghissime fuori d’ogni misura, perchè anche gli uomini come le donne non si accontentavano di seguire soltanto l’esempio della capitale, ma andavano oltre coraggiosamente. Per citarne uno, monsignore di sant’Andrea, il più sillogistico teologo del capitolo, una volta uscito dalla Curia e seduto a ragionare in confidenza coi pari suoi, non si vergognava di ritorcer la punta a molti dei proprii sillogismi. E fra gli abatini più giovani ve n’avea taluno, che in fatto di opinioni si lasciava forse addietro tutti i medici della città. I medici, fra parentesi, non erano nemmeno allora in gran voce di spiritualisti.

Peraltro, fra i lavoranti della vigna del Signore, v’era un partito rozzo, incorruttibile, tradizionale, che si opponeva colla pesante forza dell’inerzia all’invasione di questo scetticismo elegante, ciarliero e un po’ anche scapestrato. Infatti se qualche vecchio sacerdote, di manica larga per gli altri, serbava nella propria vita la semplicità e l’integrezza dei costumi sacerdotali, era proprio un caso raro; in generale, vecchi o giovani, chi sdrucciolava nell’anarchia filoso-