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234 le confessioni d’un ottuagenario.

sbucare al villaggio per un altro capo, e togliere ogni sospetto di quello che era veramente. Quando ebbi camminato un tiro di schioppo verso le praterie, mi parve discernere nel buio una forma d’uomo, che avanzava tra il fogliame delle viti con circospezione. Mi aqquattai dietro il seminato; e stetti guardando, protetto contro ogni curiosità dalla mia piccolezza, e dal frumento che mi stava a ridosso colle sue belle spighe già bionde e pencolanti. Guardo tra spica e spica, tra vite e vite, e in un aperto battuto della luna, cosa mi par di vedere?... — Il signor Lucilio! — Torno ad osservare ancora; e mi torna a comparire. Mi alzo, me gli avvicino con prudenza, sempre dietro il frumento, e pronto ad intanarmi entro come una lepre se ce ne fosse bisogno. Guardo ancora: era proprio lui. Nessuna ventura al mondo potea toccarmi, secondo me, più fortunata di questa in simile congiuntura. Il signor Lucilio era il confidente della vecchia contessa e della Clara; egli avea dimostrato volermi qualche bene nell’occasione della mia scappata in laguna; nessuno migliore di lui per aiutarmi nelle mie ricerce. E siccome egli avea fama di uomo scienziato, così il mio criterio prese da quell’incontro le più belle lusinghe. Quando me gli trovai presso un dieci passi:

— Signor Lucilio! signor Lucilio! — bisbigliai con quella voce sommessa sommessa, che sembra voglia farsi tanto lunga quanto si fa sottile.

Egli si fermò e stette in ascolto.

— Sono Carlino di Fratta! Sono Carlino dello spiedo! — continuai alla stessa maniera.

Egli trasse di tasca un certo arnese che conobbi poi essere una pistola, e mi si avvicinò guardandomi ben fiso in faccia. Siccome ero coperto dall’ombre del frumento, pareva che stentasse a riconoscermi.

— E sì, sì, diavolo! son proprio io! — gli dissi con qualche impazienza.