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capitolo quinto. 217

fantasie dei materialisti; e ad esse parrebbe di doversi negare l’eternità dello spirito, come agli animali o alle piante. Ma fra tanta ciurma semimorta si erge in alto qualche fronte che sembra illuminarsi d’una luce sovrumana: dinanzi a questa il cinico va balbettando confuse parole; ma non può impedire che non gli tremoli in cuore o speranza o spavento d’una vita futura. — Quale? chiedono i filosofi. — Non chiedetelo a me, se sventura vuole che non vi faccia contento quella sapienza secolare che si è condensata nella fede. Chiedetelo a voi stessi. — Ma certo se la materia organica, anche sciolta la compagine umana, seguita a fermentare ed a vivere materialmente nel grembo della terra, lo spirito pensante dovrà agitarsi tuttavia, e vivere spiritualmente nel pelago dei pensieri. Il moto che non si arresta mai nel congegno affaticato delle vene e dei nervi, potrà retrocedere o acquietarsi nell’instancabile e sottile elemento delle idee? — Lucilio si fermò cogli occhi quasi estatici ad ammirare le sembianze della sua compagna. Allora un riverbero di luce gli lampeggiò sul volto, e per la prima volta, un sentimento non tutto suo ma comandatogli dai sentimenti altrui, si fece strada nelle pieghe tenebrose del suo cuore. Si riebbe peraltro da quella breve sconfitta, per tornar tristamente padrone di sè.

— Divina poesia! diss’egli togliendo gli occhi dal bel tramonto che omai si scolorava in un vago crepuscolo. — Chi primo si alzò con te nelle speranze infinite, fu il vero consolatore dell’umanità. Per insegnare agli uomini la felicità, bisognerebbe educarli poeti, non scienziati o anatomici.

La Clara sorrise pietosamente; e gli chiese:

— Ella dunque, signor Lucilio, non è gran fatto felice?

— Oh sì lo sono ora, come forse non potrò mai esserlo! — sclamò il giovine stringendole improvvisamente una