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capitolo quarto. 201

— Ebbene, Eccellenza, e non si potrebbe addirittura mandarle a Venezia quelle carte inconcludenti?...

— Oibò — s’affrettò a interromperlo il Venchieredo. — Non le ho detto ch’io voglio che le sieno abbruciate?... Cioè, m’intendeva dire, che essendo inconcludenti non c’è ragione da incomodarne il messo postale.

— Quand’è così, — rispose a voce bassa il conte, — quand’è così le abbrucieremo... domani.

— Le abbrucieremo subito, — ripigliò alzandosi il castellano.

— Subito?... subito, vuole?... — Il conte alzò gli occhi, chè di togliersi da sedere non si sentì in quel punto la benchè minima volontà. Convien supporre peraltro che la faccia del suo interlocutore fosse molto espressiva, perchè immantinente soggiunse; Sì, sì, ella ha ragione!... Subito vanno abbruciate; subito!...

E allora con gran fatica si mise in piedi, e mosse verso l’uscio che non sapeva più in qual mondo si fosse. Ma appunto mentre toccava il saliscendi, una voce modesta e piagnolosa domandò con permesso?, e l’umile Fulgenzio con un piego tra mano entrò nella sala.

— Cos’hai, cosa c’è, chi ti ha detto d’entrare? — chiese tutto tremante il padrone.

— Il cavallante porta da Portogruaro questa missione pressantissima della Serenissima Signoria, — rispose Fulgenzio.

— Eh via! affari per domattina! — disse il Venchieredo un po’ impallidito, e movendo un passo oltre la soglia.

— Scusino le Loro Eccellenze, — rispose Fulgenzio — l’ordine è perentorio. Da leggersi subito!

— Ohimè sì... leggerò subito; soggiunse il conte inforcando gli occhiali e disuggellando il piego. Ma non appena vi ebbe gettato sopra gli occhi, un brivido tale gli corse per la persona, che dovette appoggiarsi alla porta per non