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140 le confessioni d’un ottuagenario.

Quella ciocca di capelli neri ineguali e avviluppati, che serbano ancora i segni dello strappamento, furono come la prima croce appesa a segnare lo spazio vuoto d’un giorno, nel sacrario domestico della memoria. E sovente venni poi a pregare, a meditare, a sorridere, a piangere dinanzi a quella croce, dal cui significato, misto di gioia e d’affanno, potevasi forse pronosticar fin d’allora il tenore di quei godimenti acuti, scapigliati e convulsi, che mi dovevano poi logorare l’anima e fortunatamente rinnovarla. Quella ciocca di capelli restò l’A del mio alfabeto, il primo mistero della mia Via Crucis, la prima reliquia della mia felicità; la prima parola scritta insomma della mia vita, varia com’essa, e quasi inesplicabile come quella di tutti. Certo fin dal primo istante io ne presentii l’importanza perchè non mi pareva aver ripostiglio tanto sicuro ove nasconderla. L’avvoltolai per allora in una pagina bianca strappata dal mio libro da Messa, e la misi fra il letto ed il pagliericcio. Cosa strana assai! poichè mi si parò alla mente il valore inestimabile di quei pochi capelli, essi mi bruciavano le dita. Non so se fosse paura di perderli e di esserne privato, o ribrezzo istintivo dalle tremende promesse che significarono poi. — Io li aveva già nascosti, e stava cheto cheto fingendo di dormire quando capitò su Martino, il quale vedendomi addormentato tolse la lucernetta per sè, e si ritrasse nella sua stanza. Poi a poco a poco la finta di dormire mi si volse in sonno vero, ed il sonno in un ghiribizzo continuo di sogni, di fantasmagorie, di trasfiguramenti, che mi lasciò di quella notte l’idea lunga lunga d’un’intera vita. Che il tempo non si misurasse, come pare, dai moti del pendolo, ma dal numero delle sensazioni? Potrebbe essere; e potrebbe essere del pari che una tal quistione si riducesse a un gioco di parole. Io certo vissi alle volte nel sogno di un’ora lunghissimi anni; e mi parve potere spiegare questo fenomeno assomigliando il tempo ad una distanza,