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capitolo terzo. 133

— Chi è? — diss’io con voce malferma pei singhiozzi che mi agitavano ancora il petto.

L’uscio s’aperse allora, e la Pisana mezzo ignuda nella sua camicina, a piedi nudi, e tutta tremante di freddo saltò d’improvviso sul mio letto.

— Tu? cosa hai?.... cosa fai?... — le diss’io non rinvenendo ancora dalla sorpresa.

— Oh bella! ti vengo a trovare e ti bacio, perchè ti voglio bene, — mi rispose la fanciulletta. — Mi sono svegliata che la Faustina disfaceva il tuo letto, e siccome seppi che non volevano più lasciarti dormire nella nostra camera, e che ti avevano messo con Martino, son venuta quassù a vedere come stai, e a domandarti perchè sei scappato oggi, e non ti sei più fatto vedere.

— Oh cara la mia Pisana! cara la mia Pisana! — mi misi a gridare stringendomela di tutta forza sul cuore.

— Non gridar tanto che ci sentano giù in cucina; — rispose ella accarezzandomi sulla fronte. — Cos’hai qui? — ella aggiunse sentendosi bagnata la mano, e guardandola contro il chiaro del lume. — Sangue, sangue; sei tutto insanguinato!.... Hai qui sulla fronte un’ammaccatura che ne getta fuori a zampilli!.... Cos’hai fatto? sei forse caduto o hai dato in qualche spino?

— No, non fu nulla.... è stato contro la merletta della porta; — risposi io.

— Bene, bene; comunque la sia, lascia fare a me a guarirti, soggiunse la Pisana. — E mi mise la bocca sulla ferita baciandomela e succiandomela, come facevano le buone sorelle d’una volta sul petto dei loro fratelli crociati; e io le veniva dicendo: — basta, basta, Pisana! ora sto benissimo! non mi accorgo nemmeno più d’essermi fatto male!

— No, esce ancora un poco di sangue; — rispondeva ella, e mi teneva ancora la bocca sulla fronte, serrata con tal forza che non pareva una bambina di otto anni.