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cosa che vedo chiaramente oggi, ma che allora mi parve strana.

Ascoltavo il racconto di un contadino illetterato, di un pellegrino, su Dio, sulla religione, sulla vita, sulla salvezza, e la conoscenza della fede si rivelava in me.

Mi avvicinavo al popolo, ascoltando i suoi ragionamenti sulla vita, sulla religione, e sempre più comprendevo la verità. Ciò mi accadde anche leggendo la vita dei Santi e le Leggende. Questa divenne la mia lettura favorita. Astrazion fatta dai miracoli che consideravo come un apologo esprimente l’idea predominante, questa lettura mi rivelava il senso della vita. V’era la vita di Macario il Grande, del principe Joassav (la storia di Budda); v’erano anche le parabole di Giovanni Grisostomo, quella del pellegrino caduto nel pozzo, del monaco che ha trovato l’oro, di Pietro il pubblicano. V’era ancora la storia dei Martiri, i quali dichiaravan tutti che la morte non esclude la vita, poi la storia degl’ignoranti salvati, dei poveri di spirito e di quelli che non sapevano nulla dell’insegnamento della Chiesa.

Ma non appena mi univo ai saggi credenti, o prendevo i loro libri, qualche dubbio su me stesso, qualche scontento, qualche discussione irritante si elevavano, e sentivo che, più approfondivo le loro parole, più mi allontanavo dalla verità e camminavo verso l’abisso.


XV.


Quante volte invidiai ai contadini la loro ignoranza, la loro incapacità di leggere e scrivere! In questi articoli di fede che per me non ave-