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Le guardie l’ebbero veduto. Avvisarolo. Et incontanente lo levaro in palma di mano a gran festa. La gente rallegrandosi, abbatterli la ventaglia dinanzi dal viso, e pregarlo per amore che cantasse. Et elli rispose: io non canteroe mai, se io non ho pace da mia dama. I nobili cavalieri si lasciarono ire dalla dama, e richieserle con gran preghera, che li facesse perdono. La dama rispose: diteli così, ch’io non li perdonerò giammai, se non mi fa gridare mercè a cento baroni et a cento cavalieri et a cento dame et a cento donzelle, che tutti gridino a una boce mercè, e non sappiano a cui la si chiedere. Allora il cavaliere il quale era di grande savere, sì pensò che s’appressava la festa della candelara, che si facea gran festa al Po, e le buone genti veniano al monistero. E pensò: mia dama vi sarà, e saravvi tanta buona gente, quanto ella addomanda che gridino mercè. Allora trovò una molto bella canzonetta; e la mattina per tempo salio in sue lo pergamo, e cominciò questa sua canzonetta quanto seppe il meglio, che molto lo sapea ben fare, e dicea in cotale maniera1.


  1. Le seguenti stanze provenzali essendo nell’impressione del Benedetti di lezione molto guasta e scorretta, si sono qui ristampate come stanno nell’opera Dell’Origine della poesia rimata di Giammaria Barbieri scrittore del sec. XVI, il quale le trovò fra le altre canzoni di Rigaut de Berbezill che ne fu il vero Autore, essendo il nome di M. Alamanno un’invenzione di chi scrisse la Novella. Si aggiunge la traduzione italiana dell’Ab. Pla che si ha nello stesso libro pubblicato dal Cav. Tiraboschi in Modena l’anno 1790 (v. pag. 99 e seg.). Questa canzone si legge