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di lagrime. 21

“Scommetto che le vere parole della Romanza non son queste,” disse la povera Alice, e le ritornarono i lucciconi agli occhi. “In somma,” continuò a dire, “io devo essere Isabella, e dovrò andare a vivere in quella casuccia, e non aver quasi più giuocattoli, e tante lezioni da imparare! Ma se sono Isabella, caschi pure il mondo, io resterò quì! Inutilmente, signori miei, caccerete la testa dal soffitto per dirmi ‘Carina, vieni su!’ Io alzerò soltanto gli occhi, e dirò loro, ‘Chi son io? Ditemelo prima, e se sarò quella che voi cercate, verrò su; se no resterò qui inchiodata sino a che sarò qualchedun’altra’ — ma, oimè!” sclamò Alice, versando un fiume di lagrime. “Vorrei che mettessero fuori la testa! Son tanto stanca d’esser quì, sola!”

E si guardò le mani, e si meravigliò vedendo che mentre parlava fra se stessa aveva infilato uno de’ guanti bianchi che il Coniglio avea lasciati cadere. “Come mai ho potuto far ciò?” disse. “Forse sono ridiventata piccina.”

Si levò ed avvicinossi alla tavola per misurarsi