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28 Capitolo terzo.

bella Talmà e dovrò suonare e cantare a lungo. Buona notte miei signori.

— Perchè non ti fermi qui? — chiese il beg. — Non mancano nè i cuscini, nè i tappeti, e se vuoi bere e mangiare ne avrai finchè vorrai.

— Preferisco tornare alla mia umile casetta, — rispose il suonatore. — Ho molto da pensare per scovare nella mia testa i più bei racconti che dovrò narrare domani dopo gli sponsali. —

Il beg si levò da una tasca una borsa contenente parecchie monete e la gettò al mestvire che la prese al volo.

— Buona fortuna, mio signore — disse con un leggero accento beffardo, guardando Hossein che si era rimesso al lavoro, strofinando vigorosamente la canna d’una delle sue pistole.

Scambiò un rapido cenno con Abei Dullah, che stava sdraiato presso i falchi e dopo d’aver fatto un profondo inchino, uscì, gettandosi a bandoliera la guzla. Per alcuni istanti, fra i soffi del vento, si udì il suonatore a canticchiare, poi il sussurrìo delle alte erbe contorte dalle raffiche, coprì la sua voce.


CAPITOLO IV.


L'assassinio.


La notte era così oscura che il mestvire, quantunque dovesse conoscere a menadito la steppa dei Sarti, stentava a dirigersi.

Nessuna stella brillava nel cielo tenebroso ed il vento scompigliava incessantemente le alte erbe, curvandole fino al suolo, mentre in lontananza, di quando in quando, rullava sordamente il tuono senza che alcun lampo lo accompagnasse.

— Ecco una notte propizia per le Aquile della steppa, — disse il suonatore, ridendo. — Piomberanno più rapide dei falchi di Abei Dullah sulla preda, e la bella Talmà domani non avrà più lo sposo.

Abei sa condurre bene i suoi affari, ma è generoso più del Khan di Bukara. Povero beg! La tua barba bianca vale meno di quella d’un giovane di vent’anni. —

Alzò la testa e guardò le nuvole che passavano sospinte dalle raffiche, che si susseguivano sempre più frequenti.

— Apriamo bene gli occhi, — disse.