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Nella steppa della fame. 223

se fossero indecisi fra l’inseguimento di quei velocissimi animali e quelle prede umane.

Di quella sosta avevano subito approfittato gli scaltri asini per frapporre una bella distanza. Galoppavano ormai a più di cinquanta metri, continuando a scavalcare le dune con una forza indiavolata.

— Quei birbanti ci hanno lasciati in un fastidio, — disse Karaval. — I leoni non potranno più raggiungerli e cercheranno di rifarsi della colazione perduta colle nostre polpe. Sono maschio e femmina, e probabilmente a ventre vuoto.

— Da dove vengono quelle bestie? Nella nostra steppa non ne ho mai veduto uno, — domandò Tabriz.

— Dai deserti della Persia di certo, — rispose Karaval. — Ve ne sono in quel paese e non pochi anche.

— Badate, — disse in quel momento Hossein. — S’avvicinano. —

I leoni si erano accostati alla prima duna, e l’avevano superata, scendendo dalla parte opposta.

Non erano aimali grossi come quelli di Barberia, essendo quelli persiani di taglia più piccola; tuttavia non erano meno temibili, possedendo uno slancio forse più impetuoso di quelli africani e maggior agilità.

Pareva però che non avessero molta premura di dare l’assalto alla seconda duna e che volessero prima rendersi un conto esatto dei mezzi di difesa degli assediati, poichè di quando in quando sostavano per guardare, manifestando anche una certa inquietudine a giudicarlo dalle mosse irrequiete delle loro code.

— Prendiamo posizione, — disse Tabriz. — Io la fronte, voi altri l’altra china: sono sicuro che tenteranno l’attacco da due parti.

— Se non aspetteranno la notte, — disse Karaval.

— E noi dovremo rimanere qui ad arrostirci e a rosicchiarci le unghie? Non abbiamo nulla da mettere sotto i denti.

— Ti rifarai più tardi, con una coscia di leone, Tabriz, — disse Hossein.

— Pessima selvaggina anche quella, signore. Il ghepardo valeva di più.

— Pare che i leoni tengano consiglio, — disse Hossein che non li perdeva di vista.