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XII

mento dalla forma sua originale e genuina. Per le poesie degli autori siciliani ciò è ormai condotto alle ragioni della massima evidenza. Il testo che ne abbiamo è dovuto a menanti toscani che, più o meno consapevolmente, recarono il primitivo dettato siciliano alla loro propria dicitura, spesso per ciò scompigliando la strofa e distruggendo la rima, o, per conservarla, altra sostituendone di lor capo, come per più di un esempio si troverà provato nella presente nostra edizione; e tutto invita a supporre che (sebbene in minor misura, per essersi già di buon’ora composto un formulario del dire amoroso in rima, misto di toscano e di siculo), cosiffatto travestimento sia stato operato anche nelle poetiche composizioni delle altre provincie italiane. Bisognerebbe. dunque, ritrovare i primissimi apografi di coteste poesie: e il vero è invece che i manoscritti presentemente in essere evidentemente appaiono trascritti da toscani. Dov’è andato, ad esempio, quel Libro Siciliano ricordato da Giammaria Barbieri, dal quale ei trasse e pubblicò nella Origine della poesia rimata, un canto siciliano di Stefano Protonotario, e alcuni frammenti, in dialetto pur essi, di Re Enzo, di Lanfranco Maraboto e di Garibo, nativi tutti dell’isola, e scriventi secondo le forme di quel dialetto? Ben hanno cercato i Professori Grion e