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RIME

     Più anime conobbe che impudiche
Furon vivendo; e Guido Guinicelli
171Gli mostra Arnaldo in sì aspre fatiche.
     Ma, poi che s’è dipartito da elli,
A trapassar lo foco i cari duci
174Confortan lui, ch’a pena in mezzo a quelli
     Il trapassò. Di quindi alle alte luci
Salir l’invita un angel che cantava,
177Pria s’ascondesser li raggi caduci.
     Vede nel sonno poi Lia che s’ornava
Di fior la testa, cantando parole
180Nelle quali essa chi fosse mostrava.
     Quindi levato nel levar del sole,
Virgilio di sè stesso il fa maestro,
183Sul monte giunti, e può far ciò che vuole.
     Venuti adunque nel loco silvestro,
Trova una selva, ed in quella si spazia
186Su per lo lito di Lete sinestro.
     Vede una donna, che a lui di grazia
Parla e con verissime ragioni:
189Del fiume il moto e dell’aura lo sazia.
     Di quinci a vie più alte ammirazioni
Venuto, sette candelabri e molte
192Genti procedere in carro, i timoni
     Del qual traeva coll’ale in su volte
Un grifon, d’oro, quanto uccel vedeasi,
195L’altro di carne; e alle cui rote accolte
     Da ogni parte una danza moveasi
Di cento donne; e nel mezzo Beatrice
198Del tratto carro splendida sedeasi.
     Da così alta vista e sì felice
Percosso, da Virgilio con Istazio
201Esser lasciato lagrimoso dice.
     Appresso questo, non per lungo spazio,
Con agre riprension la donna il morde
204Senza aver luogo a ricoprir mendazio.
     Per che le sue virtù quasi concorde
Li venner meno e cadde, nè sentisse
207Pria ch’alle sue orecchia ad altro sorde


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