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RIME

All’uom c’ha stato bisognoso e rio,
Come vedi ch’è il mio,
È l’aspettare e viver con sospetti.
Poi t’ammonisco che non ti diletti,
90Come hanno fatto le sorelle tue,
Delle bellezze sue,
Tanto che del tornar tu fossi niente;
Chè degno è quel servente
Di mille morti, che ’l suo cammin tarda
95Al gran bisogno, come fece il corbo.
Or va’, figliuola, e guarda
Al tuo dover ed al mio grave morbo.


(Pubblicata dal Trucchi (Serventese, ecc.); da noi corretta sul cod. ricc. 1091.)



VII


     O povertà, come tu sei un manto
D’ira d’invidia e di cosa diversa!
Così sia tu dispersa,
E così sia colui che ciò non dice!
5Io dico sol per sodisfarmi alquanto
Di te, o sposa d’ogni cosa persa,
Per la quale è sommersa
D’onor al mondo ogni viva radice.
Tu privazion d’ogni stato felice,
10Tu fai la morte altrui sempre angosciosa
Bizzarra e disdegnosa;
Tu più che morte per ragione odiata
E nel voler d’ogni animo privata.
     Con ragion più che morte sei fuggita,
15Sol perchè morte ogni uom tardo la spera;
Ma di te, cruda fera,
Mai non si vede cosa giusta e diva.
La morte può ben l’uom privar di vita
Ma non di fama e di virtude altera:


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