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LAVDA .XXIV. 35

A quanti mali è l’om sottoposto,
     non porrìa hom tosto       per risme contare;
     glie medici el sanno che contano el costo,
     che scriuon lo ncostro       & fonse pagare;132
     abreuiare       sì n’opo è sto facto
     che compiam racto       la nostra dictata.
Ecco lo uerno che uiene piouuso,
     diuenta lotuso       & rio gir d’entorno;136
     uenti, freddura & neue per uso
     a l’omo è noioso       per far suo sogiorno;
     non è nel monno       tempo che piaccia
     & questa traccia       non è mai finita.140
Ecco la state che uien con gran calde,
     angustie grande       con uita penosa:
     de giorno le mosche d’entorno spaualde,
     mordendone ualde       che non ne don posa;144
     passa sta cosa       & entra la nocte:
     le pulce son scorte       a dar lor beccata.
Stanco lo giorno gìame a lecto,
     pensaua l’affecto       nel lecto posare;148
     ecco i pensieri, là ou’era recto,
     aueanme constrecto       a non dormentare;
     or al pensare       uoluendome entorno
     tollendome el somno       per molte fiata.152
Facto lo giorno, & io arcomenzaua;
     qual più m’encalzaua,       quella prendea;
     non uenìa facta como pensaua,
     adoloraua       che nolla compìa;156
     el dì se ne gia       & ecco la notte
     a darme le scorte       com’el’era usata.
Compìta l’una, & eccote l’altra;
     & questa falta       non pote fugire;160
     molte embrigate enseme m’ensalta,
     pegio che malta       è l mio sufferire;
     o falso desire,       & ó m’ài menato,
     ché sì tribulato       passo mia stata?164
Cusì tribulato uengo a uecchieza,
     perdo belleza       & omne potere;
     deuento brutto perdendo netteza,
     grande splaceza       dà el mio uedere,168
     & opo m’è gire       per forza a la morte
     a prender le scorte       che dà en sua pagata.
O uita fallace, dó m’ài menato
     & co m’ài pagato       che t’aio seruito?172
     àime conducto ch’io sia sotterrato