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Da un campagnuolo, che mille volte dovette arrossire al rimprovero de’ suoi umili natali, nelle sale dei Sardanapali, cui prestava servigio di pedagogo per ritrarue tanto da comprar qualche libro, e dividere sul povero desco un pezzo di pane colla vecchia madre; alla ridicola nobiltà del secolo decimotta vo fu dato il colpo di grazia nel Giorno.
E tutta maravigliosamente personificata, e tino all’ ultimo sangue flagellata, nel
Giovin signore, a cui scende per lungo Di magnanimi lombi ordine il sangue Purissimo celeste.
Ser Brunetto, distinguendo la noljiltà presente dalla vecchia, senza voler credere che alluda a quella dei tempi eroici, e de’ semidei, sembra distinguere la nobiltà personale della gentilizia, o ereditaria.
A’ suoi giorni dovea essere più osservata che oggi, questa grande innovazione.
La nobiltà dinastica, ereditaria, del diritto divino, era il naturale avversario dei re, i quali perciò studiarono sempre di fondare la loro forza nel popolo. Furono i patrizi, e non i plebei, che a Roma cacciarono i re. Qualunque cittadino si mostrasse favorevole al popolo, dai patrizii era accusato di agognare il regno. Lo seppero Manlio Capitolino, e Valerio Publicola.
I re pertanto, a line di opporre all’ antica nobiltà decrepita una pivi vigorosa e tìoreute: a fine di affezionare alla loro causa i poi)olani, che ^edendo