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La lingua è argutamente paragonata alla moneta, qual provvidenziale strumento di comunicazione e commercio fra gli uomini. Anche Orazio nell’Epistola ai Pisoni aveva fatto simile paragone, quando sentenziò, ragionando sulla nuova formazione dei vocaboli, che fu e sarà sempre lecito fondere nuove monete e parole col conio presente:

.... licuit semperque licebit

Signatum praesente nota procudere nummum (alias, nomen).

L’alta stima professata da Brunetto a Boezio, autore del libro De consolatione philosophiae, era comune agli scrittori di quell’epoca. Basti ricordare fra molti, Dante e Petrarca. Era considerato, e non senza ragione, quale anello tra la filosofia pagana e la cristiana. In qualche luogo, come a Pavia, ebbe anche l’onore degli altari1.

Aristotele è detto «nostro imperadore» a que’ giorni, ne’ quali della grandezza del sacro romano impero (comechè, a dir vero, nè sacro, nè romano, nè impero) erano inebbriate le menti di tutti. Si ricordi solamente il trattato De monarchia, ed il politico scopo del poema divino del gran discepolo di Brunetto. In ogni primato si vedeva a que’ giorni un impero



  1. Dante lo cita nella Monarchia: nel Convito lo chiamava suo consolatore e dottore: nel canto X del Paradiso lo dice:

         L’anima santa che ’l mondo fallace
         Fa manifesto a chi di lei ben ode.
    Lo corpo ond’ella fu cacciata, giace
         Giuso in ciel d’auro, ed essa da martiro
         E da esilio venne a questa pace.