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primi anni Settanta, provengono dalla cosiddetta necropoli settentrionale (nn. 1 e 2), che probabilmente si estendeva lungo la direttrice del cardine massimo, coincidente forse con la via che conduceva verso Verona. Oltre alla stele di Publius Seppius Faustus è esposto un grande concio pertinente al monumento a corpo cilindrico di Publius Aurarius Crassus, tribuno dell’esercito ed edile, personaggio di spicco della comunità mutinense.

Nell’esposizione hanno anche trovato posto alcuni monumenti provenienti dal territorio (nn. 22-25) e in particolare alcune importanti stele provenienti dall’area di Ganaceto, recuperate fortuitamente durante lavori agricoli, in varie occasioni, tra il 1961 e il 1973. Fra queste la stele di Caius Samius Crescens, militare della dodicesima coorte urbana, come ci testimonia, oltre all’iscrizione, la raffigurazione delle armi sul monumento funerario.

Nel complesso il nuovo Lapidario Romano rappresenta un contributo determinante per la conoscenza della città di Mutina che certamente fu, soprattutto tra la tarda età repubblicana e i primi secoli dell’impero, una realtà politica ed economica di primaria importanza nel panorama delle città dell’Italia settentrionale.

I monumenti funerari e i resti epigrafici esposti nel nuovo Lapidario ci consentono di confrontarci con storie lontane di uomini e donne, di severi militari o di munifici commercianti e artigiani, che secoli e secoli fa hanno vissuto, amato, lavorato e sofferto in questi stessi luoghi e lungo quella stessa via che ancora oggi, quasi immutata nel suo percorso, rappresenta la vera arteria del cuore pulsante di Modena.

Una storia millenaria, il cui più autorevole testimone è proprio il Duomo, costruito da Lanfranco, con quei marmora insignia dai lui fatti recuperare fra i resti sepolti di Mutina. Ma se nel medioevo l’ascendenza da Mutina firmissima et splendidissima era un elemento di forte identificazione storica della città, tanto che le nobili famiglie fino al tardo rinascimento riutilizzarono frequentemente gli antichi sarcofagi come propri sepolcri da collocare attorno al Duomo, successivamente il legame fra la città antica e sepolta e la comunità urbana fu messo in secondo piano e quasi scomparve dal comune patrimonio di conoscenze della maggior parte dei cittadini. In questi ultimi anni però vi è stato un intenso lavoro di valorizzazione delle testimonianze di Mutina e nel pensiero diffuso è meno distante l’idea che sepolti sotto alcuni metri dalla città attuale vi siano i resti ben conservati di un’altra città, con le sue strade, le sue case i suoi monumenti.

Una consapevolezza cresciuta grazie alle varie iniziative prodotte dal Museo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici, dalla mostra su Mutina nel 1989, al Cd Rom presentato nel 2001, alle varie iniziative divulgative e didattiche organizzate in questi anni, ed oggi alla realizzazione di questo nuovo Lapidario. Forse solo ora possiamo sperare che si comincino a creare quelle condizioni che un giorno, non troppo lontano, permetteranno di indagare scientificamente i resti archeologici custoditi nel sottosuolo della città e di portare alla luce almeno una piccola parte di Mutina. Forse dopo centoventi anni dal lontano e accorato appello di Crespellani non tutto è perduto.



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