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sta la beffa fattami, ed il mancar della promessa vostra, che ancora vile, e da poco mi chiamate; Ma che incarico è cotesto, di che voi tanto vi rammaricate, qual villania, ditemelo, isfodrate tosto. Noi venimmo, dissero i convitati, per cenar teco, e giunti alla porta, che era serrata, picchiammo per entrare, ma ecco che quel tuo servo, il quale dentro l’uscio stavasi, incominciò a chiamarci da cani, tanto, che come cani ci fece star di fuori, rispose Xanto: voi credo, che abbiate ciò sognato: Ed essi a lui. Veramente egli è così, come noi diciamo. Allora il Filosofo mosso dal testimonio di tanti uomini saggi, e da bene, chiamò Esopo, a cui con non poca colera disse; dimmi ribaldone, per qual cagione non lasciasti i miei convitati entrare, e che ti mosse a scacciarli di casa con villane parole, ingiuriandoli? Rispose Esopo, ingiuria ad alcuno non feci, nè dissi io giammai, e chiunque altrimenti dicesse, dal vero si partirebbe. Ma che io abbia lasciato entrare tutti quelli, che alla porta vennero, il tuo comandamento ne fu solo cagione. E non ti ricordi Padrone la norma, o la regola da te datami? Non m’imponesti tu che io non permettessi alcuno ingnorante entrare, ne al tuo convito venire, che solamente i dotti? Oh scelerato disse allora il Filosofo, adunque questi non sono uomini dotti, e saputi? Non pare a me, disse Esopo, che questi sono quelli, che a casa tua vennero, e ciò posso io veramente dire, avendone io allora l’esperienza fatta. Sappi, Padrone, che quando alla porta picchiavano, addimandai loro: Che cosa muove il cane; e nessuno seppe mai parola rispondere, e quante volte la porta era picchiata, tante volte faceva io loro questa proposta, alla quale non sapen-