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C A P I T O L O   XXXIII.

XAnto, avvegnachè i Discepoli suoi dicessero, ch’egli aveva il torto di turbarsi con Esopo, il quale con buone ragioni ottimamente difendeva il fatto suo, nondimeno stavasi molto adirato, parendogli pur essere dal suo schiavo burlato, perchè uno degli astuti disse, cotesto tuo servitore, o Xanto, se non pigli partito a casi suoi, certamente faratti impazzire. A cui rispondendo Esopo: E tu mi pari, disse, troppo curioso, volentieri pigliare gl’impacci, e le cure, che non ti toccano, e senza proposito alcuno, fuor di ragione inciti a stimo li contra di me il Padrone. Allora Xanto desideroso di avere occasione di bastonare ben bene Esopo, disse: Taci fuggitivo, e trovami un uomo, che non sia punto curioso, e meno che quì in casa, altrimenti le bastonate conterai a due a due, come le cerase, che si danno a’ fanciulli. Esopo l’altro giorno di buon’ora uscito di casa pensando al caso, ed al comandamento del Padrone, considerando andossene in Piazza, la dove per buona pezzo mirando le persone, che passavono, e le qualità loro con diligenze risguardando: finalmente gli venne veduto un certo omaccio, il quale lungamente sopra una certa pietra sedeva con viso tutto di stupor pieno, e rimenando qua, e là le gambe; con un sgarbato grugno fischiava. Laonde Esopo, e per l’abito, e per lo grossa efficie del viso di colui, e per il lungo sedere, quivi dimenando le gambe senza darsi a facenda alcuna, giudicò, ch’ei fosse un uomo molto ozioso, e spenzierato, sicchè gitosene a lui, disse: O, vientene, che il Padrone mio t’invita