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I fisici addoloratissimi, ma pur non disperati, proposero si ordinasse con rigoroso editto, che nissuno comperasse robe di qualsivoglia sorte da questi tedeschi1. Ma a ciò s'oppose, pensate chi? Il presidente stesso della Sanità, ch'era un senatore e non medico: poi si adottò quand'era inutile. Da che sentimento dovessero allora essere angustiati e straziati que'generosi medici è più facile l'imaginarlo che il dirlo.

Il 20 settembre 1629 i soldati alemanni entrarono nel Ducato: da Colico passarono a Bellano, nella Valsasina, indi a Lecco, nella Brianza, Geradadda e Caravaggio: rubarono, devastarono, distrussero, abbruciarono, contaminarono, insomma fecero ciò che peggio non avrian potuto i più accaniti nemici, nè le più barbare nazioni. E avessero almeno tenuta la strada loro fissata, e convenuta co'l governatore di Milano, chè il danno non saria stato sì esteso: ma poichè i primi avevano affatto deserti i siti, per cui passavano, quelli che venivan da poi cercavano altre terre da mettere da mettere a ruba e rovina, e maltrattare in ogni più orribil maniera. Alcuni paesi per ischivare tanto flagello sborsarono grosse somme; e fecero deviare le truppe con l'esterminio di altri siti. Ma questi sì grossi danni erano un nulla a petto all'altro male, che ne portavano; dico, la peste: la quale da loro seminata nel cammino, cominciò a pullulare nelle terre che prime invasero que'campioni delle ragioni del sacro Impero Romano. Se ne divulgò presto la fama, ma, come di solito avviene, fu poco creduta. Allorchè poi il protofisico Settala assicurò di averne avvisi certi, si spedì colà il Tadino e l'auditore del Tribunale di Sanità dottore in legge Gio. Visconti, affinchè vedessero e provedessero. Si mossero costoro alla pericolosa impresa il 26 ottobre, e trovarono con sommo dolore, ma non con meraviglia che la pestilenza aveva di già infette assai borgate e villaggi, mietute numerose vittime, e sparso tanto spavento e desolazione nelle terre circostanti al lago di Como, che molti della Valsasina eran fugiti alla

  1. Tadino, op. cit., pag. 16.
Ferrario 2