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a fresco in concorrenza col Tiepolo e pure in Roma lasciò prove della sua profonda conoscenza di questo modo di dipingere, della quale è non dubbia conferma anche questa disamina della condotta meccanica delle pitture pompeiane, avvalora grandemente l'osservazione registrata dal Wiegmann che su quegli stessi colori esperimentò l'azione dell'acido nitrico ottenendo sempre l'effervescenza rivelatrice della calce, la cui presenza non si saprebbe spiegare se il processo di dipingere fosse stato a tempera.
Ma troppe le obbiezioni che potrebbero olle vare contro questo indizio su pitture corrose che lasciano al vivo il cemento calcare di fondo; talchè si potrebbe per tale riflesso dire addirittura infondato se a mantenere il dubbio che i dipinti pompeiani e di Roma non potessero comprendere l'affresco fra i molteplici processi che lasciano scorgere non fosse ancora da notare che Vitruvio nel prescrivere, pei muri « tre diritture di calce e sabbione e tre intonacature almeno di calce e polvere di marmo pesto », offre una singolare coincidenza di metodo colla preparazione degli intonachi pel buon fresco, ed altrove, avvertendo che quando i colori « sono indotti sopra le coperte non bene asciutte, per questo non ispuntano ma stanno fermi», dà una prova sicura che la proprietà singolare degli intonachi di calce bagnata di fissare i colori, era stata osservata, e sapevasi all'occasione trarne partito.
Travolta l'arte tra le rovine dell'Impero romano e l'infuriare degli iconoclasti la pittura murale riparò nelle catacombe, perdendovi ogni carattere tecnico. Poi fu la notte delle invasioni barbare, appena rischiarata per l'arte dal luccichio dei mosaici a fondo dorato.
Nel secolo XIII Teofilo descrive un metodo di fresco, accenno di più remote pratiche, che forse trova riscontro nella intralciata tecnica delle pitture pompeiane. Consisteva