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184 CANTO


LV.


Come a Montecavallo i cortigiani
     Vanno per la Lumaca a concistoro,
     Respinti e scossi dagl’incontti strani,
     444E aprendosi la via co’ petti loro;
     Così i medici quivi e i cappellani
     Non trovando da uscir strada nè foro,
     Urtavano respinti, e senza metro
     448Facean tre passi innanzi e quattro indietro.

LVI.


Ma poichè l’ambracane uscì del vaso,
     E ’l suo tristo vapor diffuse e sparse;
     Cominciò in fretta ognun co’ guanti al naso
     452A scostarsi dal cerchio e a ritirarse:
     E abbandonato il Conte era rimaso;
     Se non che un prete allor quivi comparse,
     Ch’avea perduto il naso in un incendio,
     456Nè sentia odore; e ’l confessò in compendio.

LVII.


Confessato che fu, sopra una scala
     Da piuoli assai lunga egli fu posto;
     E facendo a quel puzzo il popol ala,
     460Il portar due facchini a casa tosto.
     Quivi il posaro in mezzo della sala:
     Chiamaro i servi; e ognun s’era nascosto,
     Fuor ch’una vecchia che v’accorse in fretta
     464Con un zoccolo in piede e una scarpetta.

LVIII.


Già pria la nuova in casa era venuta,
     Che ’l Conte si moriva avvelenato:
     Onde la Moglie accorta e provveduta,
     468Aveva in fretta il suo destrier sellato;
     E in abito virile e sconosciuta,
     Con un cappello in testa da soldato,
     Tacitamente già s’era partita,
     472E a trovar Titta al campo era fuggita: