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la scotennatrice 105


Grugniva rabbiosamente, mandando di quando in quando dei fremiti sonori somiglianti ai nitriti d’un mulo, e le sue poderose unghie, quantunque dovessero essere smussate, si piantavano profondamente nella corteccia del big-tree.

I quattro avventurieri, terminato il trasporto delle loro provviste, abbastanza abbondanti per nutrirli quattro o cinque giorni, tolsero la sbarra che assicurava la porta, poi risalirono precipitosamente nel piano superiore, ritirando la scala.

Il grizzly che continuava ad accanirsi contro l’ostacolo, nel tentare di ritirare le unghie che aveva affondate nella corteccia piuttosto tenera del big-tree, la strappò facendola cadere a terra. Un grugnito di soddisfazione uscì da quel corpaccio, poi il terribile animale fece la sua entrata nella sua tana andando a coricarsi su un ammasso di foglie secche e di ossami.

— Eccolo contento — mormorò Turner il quale, insieme a John, lo spiava attraverso la botola socchiusa.

Per quanto avesse pronunciate quelle parole a voce bassissima, agli orecchi acutissimi del grizzly non sfuggì quel lieve rumore.

Si alzò manifestando una vivissima inquietudine, alzò la testa villosa e fiutò rumorosamente, a varie riprese, l’aria, dondolandosi comicamente.

Ad un tratto mandò un fremito sonoro e si mise a trotterellare per la tana, rasentando le pareti e disperdendo i mucchi di ossami.

John e Turner non avevano potuto trattenere un gran scoppio di risa.

Il vecchio Jonathan si arrestò di colpo, guardò la botola e si rizzò subito sulle zampe deretane colla speranza di giungere fino alla vòlta e mandò un urlo feroce che si ripercosse lungamente entro la stanza superiore.

— Vattene all’inferno!... — esclamò Turner, lasciando ricadere la botola. — Già non riuscirai mai a prenderci.

— Ceniamo — disse Giorgio, a cui l’appetito non mancava mai. — Se il grizzly vuole imitarci si accomodi pure.

La cena purtroppo era assai magra poichè, come abbiamo detto, gli avventurieri non avevano raccolto che dei pinon e per dissetarsi dei gambi di cactus a bocce appena tollerati dal bestiame, quantunque ricchissimi d’acqua.

Rotti però a tutte le vicende e le privazioni della vita, i quattro avventurieri si divorarono i loro pinon, crudi come erano, succhiandoci dietro alcuni gambi di cactus.

Tre o quattro pipate compirono il magro pasto, possedendo ancora un po’ di tabacco. La notte frattanto era calata e la luce era scomparsa dentro la stanzetta.

L’orso pareva che si fosse calmato poichè non si udiva più brontolare. Forse vegliava o forse dormiva tranquillamente in mezzo agli ossami delle sue vittime, certamente con un occhio semi aperto.

Gli avventurieri che avevano portato con loro le coperte di lana,