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E pria vinta Agiarne, e poi ceduta,
E Baroni magnifici, che a prova
Fean di mostrarsi grati e sontuosi,
Fur la vera cagion di quel tesoro,
1410Ond’ei, nuovi compiti ardui viaggi,
E poi reduce ai patrii focolari,
I più lauti abbagliò concittadini,
E a sè di Milion vendicò il nome.
Così, di bella principesca mano
1415Fatto, non per viltade, il gran rifiuto,
Lode ottenne e ricchezza; indi lasciando
Pekino, e d’Asia trascorrendo i liti,
Reverito da tutti, a tutti caro,
Tesor più bello d’adunar si piacque;
1420Trovati egregi, mediche radici,
E scorze, e gomme, e polvi, e aromi, e droghe,
Che, sconosciuti dianzi all’Occidente,
Dai regni dell’Aurora ei portò primo;
E, meglio, varia sapienza, attinta
1425A regione tante, a tante genti.
Sia che per la sabbiosa ei s’aggirasse
Landa, che dalla China il Tibet parte,
Renajo degli Spiriti nomata,
Però che incontra ne’ silenzi orrendi
1430Di quell’ermo talvolta e della notte
Strepito d’oricalchi e di tamburi
Ascoltar d’improvviso, e il viandante,
Che move in caravana, se per sonno
O per lassezza mai dietro rimanga,
1435Dei compagni s’avvisa udir le voci,
A nome ode chiamarsi, e il lor viaggio
Quei seguon taciturni, e son gli Spirti
Del renajo malefici, che gioco
Fansi del derelitto, e lui di senno
1440Traggon spietatamente e di cammino:
Sia che vedesse i carri ricoverti
Di feltro impenetrabile alla pioggia,