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* xxiv. *

Che lo vieti, o Cillenio, e che qualunque,
420O nero siasi o bianco, incontro a l’Oste
Movan le dita, irrevocabilmente
Egli gir deggia, e del dubioso Marte
Tutti fermo incontrar perigli e casi.
Sì disse, e a lui tutti assentiro i Numi.
425Di nascosto a la figlia acerbe occhiate
Volse, quasi sgridando, il divin Padre:
Nè l’Arcade Garzon di ciò s’avvide.
Bensì d’ira e di duol trafitto il core
Ne pianse amaramente, e puote a pena
430Le mani trattener dal por sossopra
L’un campo e l’altro, e roversciar le squadre.
Indi pugnar con ogn’inganno ed arte
Egli fra se risolve, e insidiosi
Mescer per tutto il piano agguati e frodi.
435E già movendo a la battaglia un nero
Giovin saettator vuole che il salto,
Vietato a lui, del Cavaliero imìti.
Occupa quegli il non suo seggio, e morte
A la bianca Eroina indi minaccia.
440De l’inganno s’accorge, e ne sorride
Febo, e a gli astanti volto, A’ furti pronta
Benchè, dicea, sia di costui la destra
E benchè sempre a scaltre insidie occulte,