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sima trasparenza dell’aria, e sembravano addormentati in un sogno d’indicibile dolcezza, i raggi della luna li attraversavano, quieti, andando a porre larghe macchie argentee sull’erba finissima che rinasceva sotto le piante. Una fredda fragranza di erba, di funghi, di foglie cadute, esalava, dando la distinta sensazione dei luoghi solitari e ombrosi. Ma anche là, sotto il cielo sempre più puro, sotto le stelle limpidissime, sembrava d’esser in primavera. Matteo attraversò il viale, andando dritto verso una panchetta di pietra, seduto sulla quale aveva già trascorso tante ore serene: laggiù precisamente egli voleva morire. Ma arrivato in fondo al viale vide sulla panchetta un bimbo addormentato.

— A quest’ora? Come va? — pensò alquanto meravigliato.

S’accostò, piano piano, e si curvò per veder meglio. Il bimbo, di forse quattro anni, stava seduto in dolce abbandono, con le gambette penzoloni, le manine abbandonate sulla panchetta e il capo reclinato sul petto. Era un bellissimo bambino bruno, vestito signorilmente. Aveva scarpette bianche, corte calzette nere, mutandine ricamate e un grembialone turchino. La luna lo illuminava tutto, dando un vago riflesso ai lucidi capelli neri e un