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entro il petto, e davanti alla piccola Nanìa che sacrificava il suo onore e il suo amore credendo di poter così salvare la memoria della mamma, gli pareva che anche la sua anima fosse nera e vestita di stracci come il suo corpo.

— Io sono indegno di lei, io sono una vile lucertola — pensò. — Io dovrei andarmene. Essa sposerà un signore. Quando morrà zio Gavino, l’ingegnere la prenderà con sè, le farà la dote, e la legittimerà. Essa sarà una signora, essa è una piccola santa, ed io sono un vile, io me devo andare. Via, via, va via, Jorgi Preda, va via, lucertola vile... Ma non poteva muoversi. Ah, chi poteva muoversi ricordando le belle promesse scambiate, i sogni fatti laggiù, sul ponte, mentre le greggie s’abbandonavano tra l’asfodelo e i giunchi, e il bacio, il bacio non ancora scambiato?

Si avvicinò, si chinò su Nanìa.

— Lasciami stare... — ella disse.

Ma Jorgj Preda aprì le braccia, la prese e le diede tanti baci finchè riuscì a farsene ricambiare più d’uno.

FINE.