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corsi che il naso non mi aveva ingannato ed io mi trovavo in una grande, bella cucina antica, una di quelle cucine patriarcali che sono il centro della casa; dove, nei tempi antichi di Roma, Vesta teneva acceso il focolare, e c’era il Penus e c’erano i Penati. Lì c’era in basso un gran camino, dove un vecchio sapientemente regolava il fuoco sotto una schidionata di uccelletti; in alto su la parete pendeva una Madonna, circondata da molti santi fra rame fiorite; e sotto un lumino faceva il suo fungo.

Oh, divina provvidenza! Essa accanto all’acqua ha collocato il vino; accanto alla ginestra ha messo i funghi; e dopo la maga viene la cuoca, che vi domanda: «Che cosa desidera, signore?» L’uomo ingegnoso alla sua volta brucia la legna, caglia il latte, ne fa il burro ed il formaggio; questo cade sui gnocchi, quello fa soffriggere i funghi; la quercia artistica fa bollire la pentola; lo spiedo fa girare gli uccellini. Tutte queste cose deliziose si trovavano in quell’ora, in quella cucina, come se avessero saputo del mio arrivo; cioè dei gnocchi e della cacciagione di uccelletti, la cui testolina ad ogni giro di spiedo cadeva giù disperatamente.

Certo essi erano fratelli dell’uccellino bel verde che cantava sulla muschiosa quercia.