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superbe, di susine ambrate, di uva luglia, di fichi primaticci a prezzi ridicoli; ma pesche non ce ne erano se non piccole e brutte, e care un occhio.

Io spiegai della mia necessita di aver pesche. Ma i fruttaiuoli dicevano che pesche come io volevo non ne avrei trovate a girare anche per tutti i poderi d’intorno. Allora un bel signore che sedeva all’ombria egli pure e ripassava in pace la sua corrispondenza, quando sentì quei rivenditori che affermavano non trovarsi pesche all’intorno, levò la testa e disse ad uno di loro:

— No, carino, nel mio orto, se ci vieni, le pesche ce le trovi.

— Nel suo orto, — fece colui alzando il braccio e movendolo per l’aria, — bella novità che nel suo orto ci sono le persiche! Ma mi dica un poco, signor Isidoro, che cosa le viene a costare quest’anno una persica? — e gli alzò l’indice, indicante una pesca sola, davanti al naso.

— Pezzi d’ignoranti! — e il signore che si chiamava Isidoro, disse ignoranti con quattro «a», quindi procedettero le sue parole dicendo: — Guarda lì, come parla! La volete sempre dal cielo la roba, voi. Lasciano questi villani porci gli alberi da frutta abbandonati a tutti i pidocchi, a tutte le muffe, e poi si