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tempo e sotto qualunque luce si possano avere lassù all’altezza di uncidicimila piedi, con la Morte per compagna, sotto ogni piede. Rocce lucenti di ghiaccio, dove una scarpa dai chiodi logorati scivola una volta ed una volta sola; raffiche di vento di montagna, intorno alle sporgenze, che avvolgono il corpo prima che possa tendersi per affrontarle; cumuli di schisto infradiciti, sgretolantisi sotto la pressione di una mano; una caviglia che si storce in fondo a una fessura alta trenta metri; una valanga di pietre, liberate dalla neve e provenienti da qualche recesso montuoso che il sole ha minato durante la giornata: questi sono alcuni dei pericoli che quei bravi affrontano, andando o tornando dall’aver sorbito il caffè, o dall’aver ascoltato il grammofono nella mensa degli ufficiali «nell’ordinario esercizio delle loro funzioni».

Una voltata della strada in discesa li sottrae, insieme con tutto il loro mondo, alla mia vista; i miei occhi non li vedranno mai più. Ma l’ardente giovinezza, la pletora di energia, il lieto disprezzo, quasi l’insolenza di ogni pericolo, la serietà mantenuta all’ora del caffè, ma perduta completamente allorchè la banda suonò per deliziare il nemico, e infine la loro sincera cortesia giovanile, saranno per me fra i ricordi più cari e imperituri. Ma, dietro a ogni cosa, sottile come i cavi di acciaio, implacabile come la montagna, si sentiva tutta la tenacità della loro razza indomita.