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in una località che appariva — almeno fino a quando non raggiunsi un’altezza di oltre un migliaio di piedi, — come l’orlo di un precipizio.

«Oh, è impossibile uccidere un mulo». Infatti allorchè la bestia ebbe steso le sue proteste, riprese la dignità dei suoi avi. Il mulattiere non fiatò. Noi c’insinuammo su, per i monti e, fra di essi, andammo per strade non ancora segnate sulla carta, ma altrettanto resistenti, quanto lo può rendere un lavoro assiduo ed energico contro il deterioramento prodotto dal traffico degli autocarri carichi dei maggiori pesi, dagli zoccoli taglienti dei muli e dal logorìo dell’inverno, che è il vero nemico. La nostra via scorreva lungo la striscia ripiegata di una catena di monti, alti non oltre i tremilacinquecento e i quattromila piedi e, più o meno paralleli all’Isonzo, nel suo corso del nord. Fiumi che avevano ruggito allo stesso livello nostro sembravano inabissarsi e restringersi fino ad acquistare le dimensioni di fili turchini, appena visibili attraverso le foreste. Le montagne protendevano lunghe spire, che facevano perdere ogni senso di orientamento.

Allora, poichè il nemico che era lontano di circa sette miglia poteva scoprire gli Italiani, alcuni tratti della strada affollata dal traffico erano nascosti da due stuoie di paglia; ma parecchi fori che su di esse si riscontravano, sia in alto, che in basso, dimostravano che il nemico aveva trovato quel che cercava. Dopo di ciò, la falda colossale di una montagna rilucente di acque stillanti, ci