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schi in Castelcapuano e morì giovane, a quarantatre anni, nel 28 maggio 1868. Gli amici gli eressero un monumento nel camposanto di Napoli, con un busto in marmo, opera di Tommaso Solari. Alfonso Balzico, non ancora trentenne, espose parecchi lavori, e più apprezzato fra tutti, fu il Noli me tangere, che rappresentava, in proporzioni maggiori del vero Cristo e la Maddalena: gruppo molto pregiato e di cui il Mastriani scrisse un articolo laudativo nella Rondinella, e raccolse anche dal Re vivi elogi. Il critico di quella mostra fu il Bozzelli, il quale, ritiratosi dalla politica, era presidente della Società reale borbonica, ed abitava il pianterreno del palazzo Latilla. Il Bozzelli intitolò le sue critiche Cenni estetici, ma altro che estetica e quale critica! Chiamava la Santa Vittoria del Maldarelli quadro lodatissimo; del bozzetto del telone di San Carlo del Mancinelli diceva: quest’opera fa onore alla scuola napoletana, ed è ormai tempo che si cessi dall’invidiare a noi stessi le nostre glorie; e del paesaggio del Mancini: paesaggio, con verità di piani, arricchiti di pecore e di pastori, e di bella esecuzione per opportuno colorito. Ecco tutta la critica.

La mostra del 1859 riuscì più copiosa, ed ebbe critici forse più competenti, ma non meno iperbolici. Fra i dipinti levarono rumore i Cani da caccia di Niccola Palizzi, e piacquero il Martirio di San Trifone di Beniamino d’Elia, i quadri di Ruggiero, di Toker, di Capocci, di Caldara, di Mancini, di Spanò, di Jovine e di Postiglione, e i paesaggi di Fiorelli, di Cortese, di Pagano, di Edoardo Dalbono e di Achille Vertunni. Vi erano però, fra tutti questi artisti, grandi disparità di merito: alcuni erano ultimi campioni dell’arte decadente; altri destinati a rappresentare il progresso dell’arte nuova, come il Palizzi, il Vertunni e il giovane Dalbono. Il Mancinelli, padre di Gustavo, fu giustamente considerato come il caposcuola dell’ultima falange degli accademici, la quale ora si giudica ben altrimenti da quello che era giudicata trent’anni fa. Il Mancinelli, infatti, ha lasciato di quell’arte documenti importanti, fra i quali basterebbe ricordare il San Carlo Borromeo che comunica un appestato, quadro che fu stimato ai suoi tempi, e può essere stimato anche oggi, una forte opera d’arte. Maravigliosi, per purezza di disegno, i suoi cartoni, i quali, specialmente quello della Morte di Giacobbe, meriterebbero di essere collocati in una pubblica pinacoteca.