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lo rimproverò severamente per le cattive informazioni, che disse aver ricevute sul suo conto; del che è facile immaginare quanto il pover’uomo si sentisse umiliato. Entrò nel suo appartamento dicendo che aveva freddo e chiese del fuoco. In nessuna sala si erano accesi i caminetti: si provvide come meglio si potè, ricorrendosi persino all’espediente di mettere cenere calda in catinelle, per riscaldare mani e piedi. Il Re non volle che una tazza di brodo e la bevve con le spalle appoggiate ad uno de’ caminetti, che s’eran potuti accendere. E dopo un quarto d’ora, licenziato il seguito e fatti ringraziare gli altri, insieme con la Regina, si ritirò nella sua camera da letto, dove Galizia aveva distesa e apparecchiata la branda da campo, che era servita anche ad Ariano, a Foggia e ad Acquaviva. Il Re si buttò sulla branda, vinto dalla stanchezza, si fece coprire bene e riposò poche ore.


Si levò alle sette, e dopo aver ascoltata, con la Regina e i principi, la messa, detta dal vecchio monsignor Caputo nella cappella del palazzo, si trattenne con Murena e con Bianchini circa le cose dello Stato, e con Sozi Carafa su gli affari della provincia. Più tardi ammise al baciamano tutte le autorità e die’ udienza pubblica a quanti volevano chiedergli grazie, e furono molti. Il Re era in piedi nel grande salone dell’Intendenza, la Regina gli sedeva a destra, e intorno i principi. Alle loro spalle, e a qualche distanza, stavano il principe e la principessa della Scaletta e gli altri dignitarii; alla porta del salone, l’intendente. Si recarono ad ossequiare i Sovrani, prima degli altri, oltre a monsignor Caputo, monsignor Vetta, vescovo di Nardo, monsignor Francesco Bruni, vescovo di Ugento, quasi tutti i signori di Lecce e della provincia, i priori delle congregazioni laicali e i capi degli Ordini religiosi. Le signore erano presentate alla Regina dalla moglie del sindaco, donna Felicetta Romano dei baroni Casotti. Alle due, i Sovrani e i principi, in carrozze offerte dai signori leccesi, andarono a visitare il duomo, aprendosi a stento un varco in mezzo alla folla plaudente. Nella navata maggiore erano schierati, in doppia ala, fin dal mattino, i dragoni della guardia; uno di essi, stanco dalla lunga attesa, cadde svenuto, ma si riebbe subito. I Sovrani si assisero sotto il trono del vescovo, il quale si collocò dirimpetto, in cornu epistolae e, dopo un enfatico discorso e il canto del Te Deum, impartì loro la bene-