Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/378


— 362 —

l’atto sovrano, col quale volle "per così fausto avvenimento impartire i tratti della sua sovrana clemenza a coloro, che, per commessa violazione a’ precetti di legge, sono colpiti dalla corrispondente retribuzione delle pene„. Furono diminuite di quattro anni le condanne ai ferri, e di due le pene correzionali; vennero condonate le detenzioni ed ammende per contravvenzione, ma furono esclusi dalla sovrana indulgenza gl’imputati o condannati per furto, per falso, per frode, per bancarotta e per reati forestali. Quest’atto sovrano, datato da Foggia il 10 gennaio, comprese pure i condannati politici rimasti nelle prigioni, poichè a sessantasei di loro, ritenuti i più pericolosi, Ferdinando II, tre giorni prima di partire da Caserta, aveva commutata con altro decreto, come ho detto, la pena dell’ergastolo e dei ferri, in esilio perpetuo dal Regno. Di quei sessantasei, pochi sono i superstiti. Ricordo Achille Argentino e Domenico Damis, che furono dei Mille e poi deputati; Niccola Schiavoni, già deputato di Manduria e senatore del Regno. Damis entrò nell’esercito italiano, salì al grado di maggior generale e ora è in riposo anche lui; Argentino fu direttore di una succursale del Banco di Napoli; il duca di Caballino, Sigismondo Castromediano, morì nel 1895; due anni fa è morto Gennaro Placco, e l’anno scorso, Carlo Pavone, consigliere di Corte d’Appello a Roma.