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erano avvezze a indossare. Alle cinque, come Dio volle, si giunse sotto Ariano, dov’era il cambio dei cavalli.


Il Re era assiderato e con lui quasi tutto il seguito, di cui facevano parte uomini avanzati negli anni e non avvezzi a tali disagi. Di tratto in tratto, egli prendeva qualche sorso di rum. La Regina mostrava una certa intrepidezza, che non riusciva però a dissipare la nota di malinconia, che su tutti incombeva. Non pareva gente diretta a una cerimonia di nozze, ma un corteo funebre, che la rigidità della stagione rendeva più lugubre, e un destino inesorabile spingeva su quelle vette solitarie, coperte di neve. Tutta Ariano aspettava alla stazione della posta. I Sovrani furono ricevuti dal sindaco Ottavio Carluccio, dal sottointendente Ercole della Valle, dal vescovo monsignor Michele Caputo e dalle minori autorità. Era calato il sole e il freddo si sentiva più intenso. Ariano non era segnata fra le tappe, e perciò, cambiati i cavalli, si sarebbe dovuto proseguire immediatamente per Foggia. Mostaccione affermava che nel vallo di Bovino era caduta una canna di neve e sconsigliava di andare innanzi. Il Re, disceso dalla vettura, andò a chieder consiglio ai personaggi del seguito, i quali risposero che si rimettevano a lui. Le autorità e la popolazione imploravano con alte grida che il Re rimanesse quella notte in Ariano, e il Re finì per acconsentirvi, rassegnato innanzi a forza maggiore. Si salì in città e bisognò, in fretta e in furia, preparare gli alloggi nella casa del vescovo per il Re, i principi e gli Scaletta, nel seminario e in case private per gli altri. Il Re scelse per sua camera da letto il salone e vi fece rizzare la branda. Volle che nella camera accanto dormissero gli Scaletta. Le due camere erano in comunicazione mercè una porta, ma don Vincenzo Ruffo vi addossò il letto, per rendere più libera la camera del Re. Aiutato dal cuoco del vescovo, Cammarano preparò in due ore un discreto pranzo, e alle 8 si andò a tavola e si mangiò di buon appetito, facendo specialmente tutti onore al piatto dolce, formato da magnifiche " meringhe„ . Si tentò di riscaldare le camere con bracieri, ma vi si riuscì molto imperfettamente. Quella notte non fu allegra per nessuno. La mattina di buon’ora il Re picchiò alla porta della camera dove dormivano gli Scaletta, dicendo al principe: “Paisanuzzo, sienti che frìddo;