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Da Avellino si parti alle 11, e le guardie d’onore si spinsero fino a Piano d’Ardine. Giunte qui, il E,e volle che tornassero indietro, a causa della bufera che imperversava. Le ringraziò, assicurandole del suo prossimo ritorno con gli sposi e promettendo una fermata più lunga. Di là le carrozze reali tirarono via di corsa. I freschi rilievi, forniti dal maestro di posta, Vincenzo Siciliani, trottarono vigorosamente fino all’altura della Serra con soddisfazione del Re, cui il viaggio recava sempre maggiori disagi. Ma la soddisfazione ebbe corta durata. Da quell’altura la strada precipita sull’opposto declivio, in linea quasi retta, sino a Dentecane. Due miglia di fortissima pendenza e due palmi di neve ghiacciata! I cavalli sdrucciolavano, parecchi caddero, le ruote delle carrozze non resistevano ormai più alle martinicche. Si dovette scendere e andare a piedi per un miglio. Il Re camminava a stento, appoggiandosi al braccio di don Leopoldo Zampetti, guardia d’onore di Montefusco, uomo di statura gigantesca. I terrazzani, i sindaci e i decurioni dei vicini borghi, accorsi al passaggio con stendardi e bande musicali, si studiavano di diminuire l’asprezza del cammino, o spargendo terra sopra il ghiaccio, o battendo con grida festive i piedi sopra la neve, in modo da lasciarvi le impronte, sulle quali le Loro Maestà potessero camminare più sicuramente. Anche le donne buttavano i caratteristici mantelli sulla via, per renderla più agevole alla Regina, Cosi si continuò, per tutta la forte discesa, fra una bufera di neve. Tali dimostrazioni d’affetto confortavano assai mediocremente il Re, ma resero possibile la continuazione del viaggio. A Dentecane si rimontò nelle carrozze, che i contadini avevano sorrette per mezzo di funi. A memoria d’uomo non si ricordava una nevicata simile. Alle cave di Scarnecchia, i cavalli si dovettero staccare e le carrozze trascinare dai contadini. Federico Lupi moltiplicava la sua attività e bestemmiava sottovoce come un eretico, perchè il Re non lo udisse. Questi e alcuni del seguito scesero di nuovo e percorsero a piedi un altro buon tratto di strada. Non avevano stivaloni ferrati e perciò scivolavano, malamente ruzzolando per terra, e la Regina che aveva scarpine di seta fu li li per cadere anch’essa. Si sorreggevano al braccio delle guardie d’onore, imbarazzate nell’uniforme che non.