Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/259


— 243 —

mi rispose: "Non rammento, con pari certezza, che io abbia assistito all’esame testimoniale del venerando Carlo Troja, ma non lo escludo, tanto più che se ne ricorda il Fornari.... La reminiscenza del Fornari coincide col tempo, in cui rammento che io strinsi amicizia col Troja, tanto più che della causa del 16 maggio io fui non piccola parte, avendovi difeso il Barbarisi, il Mollica e il mio maestro Trinchera„. Leopardi fu difeso dal Castriota.


La via, che percorse il mortorio, non fu molto lunga: dalla casa in via Toledo, alla chiesa di San Severino. Ricevè il cadavere alla porta del tempio Francescantonio Casella. I monaci celebrarono i riti religiosi, e nel giorno seguente Carlo Troja fu tumulato, secondo la sua volontà, in quella severa, solitaria e monumentale chiesa dei benedettini, dove riposavano le ceneri della madre Anna Maria Marpacher, chiesa che a lui ricordava i due amori più intensi della sua vita: la madre che vi era sepolta, e gli studi storici compiuti nelle badie di San Benedetto. I giornali consacrarono poche linee alla morte del Troja. Il Nomade, che gli rese maggiori onori, nel numero del 31 luglio 1858, ne scrisse così: "Un’altra delle sue glorie è stata dalla morte tolta all’Italia. Alle ore 3 ant. del giorno 28 del corrente luglio, moriva Carlo Troja, all’età di 73 anni, lasciando incompiuta la sua istoria del Medio Evo. La grandezza della sventura è tale che alcun pensiero di conforto non basta a mitigarla, perchè i grandi partono da questa nostra terra e niuno si mostra degno di tenere il seggio rimasto vuoto. Egli visse più con le opere sue che con il mondo, ed un solo intento sostentò la sua vita travagliatissima, raccontare la storia del proprio paese, di cui un’immagine grande e pura portava nella mente. Se l’istoria del Medio Evo non fa da lui condotta a fine, i libri che ha lasciato bastano a collocarlo avanti a’ più alti ingegni dell’età presente. Della morte di tanto nomo dovrà dolersi non solo l’Italia, ma quanta gente hanno in onore le lettere e la nobiltà dell’anima„. Il 7 agosto lo stesso giornale pubblicò un coraggioso articolo di Federico Quercia, e nel giorno medesimo ne pubblicò un altro il Diorama, commovente e degno, scritto da Giovanni Manna. Giovannina Papa stampò rettorici versi e Giuseppe Lazzaro, nell’Epoca, propose, non senza qualche coraggio, che il Troja fosse sepolto in Santa