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dalla onestà del giudice regio, ai soprusi non c’era freno, o si componevano a suon di pecunia, con la nota formula di far accettare un caffè, o con offerte di caciocavalli e altri frutti di dispensa.

Scialoja non aveva detto tutto, perchè di questi e di altri aneddoti sulle industrie arcane della, polizia, non vi è molta nel suo scritto; ma quel che disse parve così grave al governo napoletano, pauroso di ogni pubblicità, da costringerlo a far scendere in campo nove campioni a confutarlo. Monsignor Salzano, che gli rispose per la parte ecclesiastica, era, come si è veduto, consultore di Stato; Federigo del Re, consigliere alla Corte dei conti; Agostino Magliani era stato promosso, nel maggio di quell’anno, da capo di sezione nella tesoreria a ufficiale di ripartimento nel ministero delle finanze, e promosso nello stesso mese Niccola Rocco a sostituto procuratore generale della Gran Corte civile. Salzano, Del Re, Magliani e Rocco erano dunque alti funzionari dello Stato, e il Del Re fu ministro dell’interno e polizia nel primo ministero costituzionale di Francesco II, dal 25 giugno al 15 luglio, e il Magliani fu ministro delle finanze per una diecina d’anni, dopo l’avvento della Sinistra al governo d’Italia.

Gli altri cinque, che polemizzarono con Scialoja, avevano uffici più umili, anzi l’avvocato Francesco Durelli non ne aveva alcuno. Don Girolamo Scalamandrè era ufficiale di carico alle finanze ed aveva studio privato di giurisprudenza. Ciro Scotti e Alfonso Maria de Niquesa, piccoli impiegati, e don Pasquale Caruso era l’inviso rettore del Collegio medico, la cui scolaresca gli si sollevò contro, come vedremo, nel 1859. Scesero in campo, armati di rettorica, di cavilli e d’insolenze, accusando lo Scialoja di denigratore della propria patria e di malafede, e chiamandolo ignorante e ribelle. La più calma delle risposte fu quella del Del Re; la più abile la scrisse il Magliani; la più serena, ma la più comica nella forma, Niccola Rocco; le più ingiuriose furono le risposte dei due ecclesiastici; insignificanti, le altre.

L’argomento principe di tutte le confutazioni consisteva in ciò, che essendo minime le imposte, la prosperità economica del Regno era grandissima, deducendola dall’alto tasso della rendita pubblica, dalle scarse manifatture di Sarno, di Sora e di San Leucio, dai minuscoli tronchi di ferrovia, dalla sicurezza che godeva il Regno, dopo che Ferdinando II aveva domata la rivoluzione e ri-