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talento e della sua attività; per cui, in breve, il giornale ebbe fortuna. Oltre ai vecchi professori Villanova, Lauro, De Martino, De Sanctis, vi scrivevano altri giovani medici, che più tardi vennero in gran fama, come Luigi Amabile, Tommaso Vernicchi, Giuseppe Buonomo, Capozzi, De Crecchio, Tanturri, Olivieri e Vizioli. Dopo il 1860, Ramaglia non volle più saperne di figurare come direttore e la direzione fu assunta dal Tommasi, reduce dall’esilio, e con lui e col Cantani, che furono i due grandi medici che abbia avuto Napoli negli ultimi anni, il Morgagni divenne una fra le più autorevoli riviste di medicina.


Nei giornali e nella buona società fioriva l’epigramma. Si conoscevano tutti l’un l’altro, perchè era un piccolo mondo quello che pensava, scriveva e si moveva. L’epigramma era uno sfogo della naturale arguzia, e un po’ anche di malignità, non essendovi altro modo di colpire qualcuno, o di flagellare un vizio, che la forma epigrammatica, ispirata molte volte da odio personale e più sovente dal desiderio di far ridere alle spalle degl’imbecilli e dei vanitosi. Filippo Palizzi, rapito non ha guari all’arte di cui fu splendida illustrazione, aveva ritratto maravigliosamente un tal Rossetti sordo, e Michele Genova disse:

Questi è Rossetti, esclama ognun rapito;
Tal delle tinte è il sovrumano accordo,
Tutto il pittor gli diè, fuorchè l’udito,
Per non opporsi a Dio, che lo fè sordo.

Ma non era il Genova l’epigrammista più arguto. Tenevano in quel tempo lo scettro dell’epigramma Raffaele Petra, più noto sotto il nome di marchese di Caccavone; Michele d’Urso, e Francesco Proto, duca prima dell’Albaneto, poi di Maddaloni, più conosciuto col nome di duca Proto. Il Petra era capo del quinto ripartimento nella direzione generale del Gran Libro; D’Urso era colonnello di marina e fratello di Pietro, ministro delle finanze, e Proto, deputato nel 1848 fra i più eccessivi, era andato in esilio e n’era tornato per grazia speciale di Ferdinando II. Il Caccavone li vinceva tutti. Più spontaneo, più arguto, più fresco nelle immagini, egli conosceva meglio le finezze, l’elasticità e i doppii sensi del gergo dialettale. Molti dei suoi epigrammi, raccolti da Achille Torelli in un volumetto che vide la luce in Napoli nel 1894, si leggono anche oggi con