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vano del collega, dicendone un gran male al luogotenente e facendo risalire a lui la responsabilità di quegli atti, che più urtavano il sentimento pubblico e insistevano perchè fosse allontanato. Il Maniscalco, al contrario, certo del favore del Re, non si curava di questi intrighi occulti, anzi affermava ogni giorno di più il poter suo. Ma quella unità e risolutezza di indirizzo nel governo, vero segreto del successo di Filangieri, cessarono di esistere e cominciò invece quel fatale giuoco a scarica-barili, che fu tanto utile alla rivoluzione. Maniscalco, rimasto devoto a Filangieri, lo informava delle cose del governo, non celandogli i suoi timori, e la poca fiducia nei colleghi. E questa corrispondenza, che va dal 1855 al 1860, non è priva d’interesse.1

I ministeri di Sicilia non offrivano lo spettacolo babilonico dei ministeri di Napoli. Erano anch’essi raccolti in un solo palazzo, dove sono oggi gli uffici della prefettura, accanto alla casa monumentale dell’arcivescovo, ma gl’impiegati erano pochi, le competenze più distinte, la disciplina osservata e i contatti col pubblico affatto proibiti. Solo una volta la settimana, il venerdì, gli ufficiali di ripartimento (capidivisione) davano udienza pubblica, cioè ricevevano quelli i quali andavano a prender conto dei loro affari, o vi mandavano i proprii incaricati. Era riconosciuta una classe di sollecitatori, che potrei paragonare agli spedizionieri presso le congregazioni ecclesiastiche di Roma. Le sale dei ministeri erano pulite e le scale non ingombre di postulanti, perchè, tranne gl’impiegati, nessuno vi saliva. Amministrazione ordinata e onesta, con orario strettamente osservato, dalle 10 alle 4, senza interruzione.


Il governo di Castelcicala non poteva avere e non ebbe unità d’indirizzo. Era, in sostanza, il governo di Cassisi, il quale però rifuggiva dalle responsabilità rischiose e odiose. Castelcicala non dava ombra, anzi cercava di limitare la propria responsabilità e di parere il meno che potesse. Carezzava Cassisi e in molte cose non muoveva foglia senza di lui; non amava Maniscalco, per il male che ne sentiva dire, ma non disse mai al Re, risolutamente, di mandarlo via; lasciava che v’insistesse Cassisi, ripetutamente e petulantemente, è vero, ma pur troppo senza

  1. Archivio Filangieri.