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deputazione, il marchese di Pescara; notaio dell’Ordine, lo scudiere Ruo. Si contava un inquisitore Costantiniano per ognuna delle provincie. Nel Principato Ulteriore erano inquisitori don Crescenzo Capozzi, padre di Michele, già deputato di Atripalda, e don Guglielmo de Cesare, abate di Montevergine; a Bari, don Giustino Assenzio; a Lecce, don Pasquale Romano; a Lucera, don Ferdinando Nocelli, e in Abruzzo, il barone Panfilo de Riseis, lo stesso che fu concessionario della ferrovia degli Abruzzi, e padre di Luigi e di Giuseppe. Erano grancroci i più alti patrizi del Regno, e due diplomatici, il principe di Petrulla e il conte Luigi Grifeo; e destò acerbe critiche la nomina del marchese Del Carretto, la cui antica nobiltà non pareva dimostrabile. Ma l’esattezza storica vuole si dica, che questi Del Carretto provengono dalla nobile casa, che fin dal secolo decimo era feudataira di terre nel Genovesato e in Piemonte. Il ramo di Napoli venne di Spagna ai tempi di Carlo III. Però il maresciallo quasi sdegnava di ricordare l’origine della sua stirpe, avendo l’ambizione di credersene lui il fondatore, onde non è maraviglia se, quando ebbe la croce costantiniana, i rigoristi, come ho detto, brontolassero non credendo abbastanza dimostrata l’antica nobiltà di lui. Il barone Ciccarelìi era cavaliere di giustizia, e cavalieri di grazia, Giuseppe Scrugli, monsignor Celestino Code e quel Giulio Gondon, che aveva risposto a Gladstone.


Nell’ordine di San Giorgio della Riunione si distinguevano anche gli stessi gradi. Gran Conestabile n’era il duca di Calabria; gran maresciallo, il generai Selvaggi; segretario, il brigadiere Francesco Ferrari; aiutante del segretario, Giacomo Plunkett, uffiziale del ministero della guerra. Le liste dei cavalieri di diritto e di grazia erano più lunghe che negli altri Ordini, ma non raggiungevano la lunghezza di quelle di Francesco I, che era l’Ordine più numeroso con tre soli gradi: grancroci, commendatori e cavalieri. Ne era presidente il retrammiraglio Sozi Carafa; segretario ed archivista, don Raffaele Mozzillo. Quest’Ordine teneva l’ultimo posto, ma tuttavia non ne erano facili le concessioni, e se qualcuna non garbava, piovevano gli epigrammi, Ancora si ricorda l’epigramma, cui diè luogo l’onorificenza di cavaliere concessa a un Persico, la cui famiglia aveva il maggior negozio di biancheria che fosse allora a Napoli. Non bot-