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larono del terremoto del 1851 e quelli del 1857. Il professor Roller, ginevrino, si recò sui luoghi del disastro e di là scriveva lettere ai suoi amici di Svizzera, che furono pubblicate a Ginevra e rivelavano lo stato miserando di quelle provincie, in fatto di viabilità e di civiltà. I racconti dei giornali napoletani erano rettorici o addirittura grotteschi, come quello dall’Epoca, di cui ecco un saggio: "Erano da poco suonate le dieci, quando parve che la terra ondulasse. L’attenzione sospesa un momento, non tardò a farne certi che il terreno si muovesse sotto i piedi, cosicchè la sensazione prolungandosi, tutti giudicarono e videro, che un novello tremuoto veniva a scuoterci dalle fondamenta. Nè passò il tempo in che l’un all’altro dicesse il fatto, quando novellamente i campanelli suonano con più forza, i battenti delle imposte e i lucchetti delle finestre tremano, i vetri scrosciano, le mobilie rumoreggiano, il suolo, le mura, il letto, ogni cosa che ti circonda, viene in preda ad un ondulamento intenso e terribile .... Nè molto durò il fenomeno, nè poco; un trenta pulsazioni. Finito, successe un silenzio di tomba, quello del terrore; indi un vociar di gente che usciva dalle case, e quali piangendo innanzi alle sacre immagini, quali narrando l’accaduto, quali incitando a fuggire, tutto costituiva un fenomeno morale degno delle maggiore considerazione. In un baleno le vie più deserte della città furono popolate .... Colà vedevi disparite le gradazioni sociali; eleganti signore, gentili damerini, persone insomma che sciupano intere ore all’acconciamento della persona, accorse in sulle piazze disadorni e negligenti, di null’altro presi che della vita. Difatti quali avvolti in mantello, quali in iscialli, quali col capo coverto di berretto, qual di cuffia, quale anche nei soli lenzuoli, aspettavano e temevano, dalle membra irrigidite dal freddo della notte. Carrozze di ogni specie, alcune tirate da cavalli, alcune da uomini, servivano di ricovero a’ loro padroni, e questi, fattesene case ambulanti, rannicchiati nei mantelli, dai visi pallidi e stravolti, si guatavano meravigliati e paventavano. Cavalli, vacche, animali di casa, tuttociò che nel timor del pericolo erasi tratto fuori, vedevansi commisti agli uomini in sulle piazze„. E cosi, per molti periodi ancora, diluiva questa mirabile prosa di Giuseppe Lazzaro.

Ernesto Capocci, nella stessa Epoca, ricercava scientifica-