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tenendosi come soprannaturale essere evidentemente protetto da Dio e dalla Beatissima Vergine.

Lontano trecento miglia da Napoli in una recondita giogaia delle calabre montagne, il comune di San Benedetto Ullano, divenuto oggetto di triste celebrità per aver dato i natali ad un mostro di esecranda memoria, ne rinnega tale infausta relazione, e ripudia ogn’idea di comunione col medesimo. L'empio sacrilego che osa attentare ai preziosi giorni di un Sovrano così pietoso, delizia dei suoi sudditi, non ha patria, ed in ogni angolo della terra sarà straniero abborrito; l’umanità intera abbomina di averlo nel suo numero.

L'intera popolazione umilmente prostrata ai piedi della Sacra M. S. osa implorare la Sovrana clemenza a pro di essa, assicurando la lodata M. S. dell'attaccamento e divozione verso la Sacra Real Corona.


Agesilao Milano era dunque nato a San Benedetto Ullano, in provincia di Cosenza; aveva ventisei anni ed apparteneva ad una di quelle famiglie Epirote, calate nel Regno nelle diverse trasmigrazioni, le prime delle quali, nel 1448 e nel 1461, avevano avuto per duci Demetrio Perez e Giorgio Scanderberg. Questi discese in Puglia con la sua gente, per difendere Ferdinando d’Aragona dai baroni ribelli, secondo afferma Lorenzo Giustiniani1, e ne avrebbe avuto in compenso il ducato della Ferrandina e il marchesato della Tripalda. Vennero dunque chiamati dai re di Napoli e dai vicerè, di accordo sempre, anche quando non erano chiamati. L’ultima discesa si compì sotto Ferdinando IV nei primi anni del secolo XVIII, a Brindisi, e quei duce si chiamava Panagiota Cacclamani, soprannominato "Phantasia„ caffettiere, ma valente nel greco e nell’erudizione, secondo il Giustiniani. Quelle immigrazioni occuparono varie contrade di Calabria, di Puglia, di Abruzzo, di Basilicata e di Sicilia, ma soprattutto di Calabria, fondando comuni o frazioni di comuni nelle province di Cosenza e Catanzaro, ma più di Cosenza, dove gli albanesi trovarono condizioni morali più adatte alle loro tradizioni e tendenze. Molto di comune vi era difatti tra la razza sopravvenuta e l’indigena: l’una e l’altra tenaci negli odii, punto espansive, inclinate alle avventure, di rado misuranti i mezzi al fine, convinte che la vendetta non si prescrive, e che tanto è più legittima, in quanto si compie con le proprie mani; l’una e l’altra covanti nell’animo un sentimento di ribellione contro tutto ciò che avesse aria di prepotenza o d’ingiustizia.


  1. Vol. III, documenti.