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Aggiunto alla Consulta esisteva un ufficio speciale per la concessione del regio exequatur sulle bolle di Roma, anzi sulle carte di Roma, come si diceva in linguaggio ufficiale. Delegato a tale uffizio era, per le provincie napoletane, il Capomazza e per la Sicilia, Michele Muccio, presidente della Corte Suprema di Palermo. Sulle carte di Roma don Emilio portava tutta la sua tanucciana diligenza. In quegli anni non fu consumata e neppur tentata alcuna usurpazione dalla Curia romana. Il re non recedeva dai suoi diritti, sanciti dal Concordato. Rispettava il Papa; l’ospitò largamente a Gaeta, a Napoli e a Portici; fece la famosa e poco gloriosa spedizione negli Stati della Chiesa; andò, nel luglio del 1866, a Porto d’Anzio, dove Pio IX era a villeggiare, conducendovi il principe ereditario, ma nulla di più. I vescovi li sceglieva lui, baciava loro la mano, ma dovevano essere ecclesiastici di sua fiducia. Il regio patronato non era per Ferdinando II una cosa da burla e la maggior parte delle diocesi di tutto il Regno, più di cento, tenendo conto delle prelature nullius, erano di regio patronato. Parlando di Roma, egli soleva dire: " Col Papa, patti chiari e amici cari„.


Sopravvive quasi più nessuno degli arcivescovi e vescovi di quegli anni. La morte ha largamente mietuto nel campo ecclesiastico. Ricordo fra i morti più recenti monsignor Rossini, arcivescovo di Acerenza e Matera, morì qualche anno fa, decrepito, a Molfetta, dove la Santa Sede lo privò del governo effettivo della diocesi. Il celebre monsignor Di Giacomo, di Piedimonte d’Alife, morì anch’egli, quasi novantenne, a Caserta nel 1878. Fu creato senatore nel 1863 e frequentò, nei primi anni, il Senato; ma incorse nelle ire di Roma che gli diè un coadiutore, da lui non chiesto. Frà Luigi Filippi, vescovo di Aquila, era un francescano pieno di ardore evangelico e di liberi sensi, e ottimi vescovi i cardinali che erano a capo delle tre diocesi più importanti, cioè: Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli, don Giuseppe Cosenza, arcivescovo di Capua, ricordato con onore anche dal Settembrini e il buon Carafa di Traetto, arcivescovo di Benevento. Il primo e l’ultimo morirono a Napoli, e il secondo nel 1863 a Capua, pianto come un padre. Tra i pastori di maggiore notorietà, ricordo, oltre a monsignor Di Giacomo di Piedimonte, monsignor Clary, arcivescovo di Bari, al quale successe monsignor Pedicini; monsignor Apuzzo di Sorrento, che fu successore del Capomazza come revisore e morì cardinale e arcivescovo di Capua; monsignor Zelo di Aver-