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si ordinava alla meglio empiendo l’aria di urla selvaggie.

Si trascinavano i cannoni e le mitragliatrici, si caricavano i moschetti e i remington, si abbattevano le tende e si occupavano le capanne le trincee, i terrapieni, i ridotti di terra. Gli sceicchi galoppavano per ogni dove cercando i propri battaglioni, comandando, strepitando.

— Il nemico! il nemico! si vociava dappertutto.

— Ira di Dio! ripetè il beduino. Cosa succede? Che sia il colonnello Coetlegan che attacca queste canaglie? Non ci mancherebbe che questo. Oh!...

L’esclamazione gli fu strappata da un formidabile rullare di noggàra e di darabùke e da un grido immenso che echeggiò in lontananza:

— Viva lo scièk Abu-el-Nemr!

Le file degli insorti si ruppero come per incanto. Lasciarono i cannoni, le trincee e persino le armi per riversarzi perso il sud ripetendo il grido.

— Viva lo scièk Abù-el-Nemr!

Fra una grande nuvola di polvere, il beduino scorse una grossa tribù di guerrieri che moveva rapidamente verso il campo colle bandiere del Mahdi spiegate. Respirò rumorosamente, liberamente, come se gli si fosse levato di dosso un gran peso.

I creduti nemici erano i guerrieri dello scièk Abù-el-Nèmr che ritornavano dalla guerra. Alla loro testa comminava un bel nero dal nobile portamento, colle braccia e le gambe cariche di anelli di rame, un turbante verde ricamato d’argento, sul capo, e avvolta attorno al corpo una gran farda azzurrina trapunta in oro.

Le genti del Mahdi si affolavano attorno a lui urlando sempre con crescente forza:

— Salute ad Abù-el-Nèmr!

Il cavaliere diresse il bianco destriero verso Ahmed che si era fermato ai piedi della collina circondato dai suoi dervis e dalla sua scorta di Baggàra, saltò a terra e gli baciò la mano.

Fra lo scièk e l’inviato di Dio vennero scambiate