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teresse che nessuno sopravvivesse, onde evitare che si recassero a Chartum a denunciarlo e quindi a perderlo.
Passato Hossanieh essi s’inoltrarono nelle vaste pianure del nord adorne di cespugli, di gruppi di palme e di grandi zone di papaveri alti più di un metro e carichi di capsule grosse come uova di gallina nel cui interno, non di rado, contengono più di trentaduemila semi, e abbelliti da grandi fiori bianchi, rossi, rosei, violetti e più spesso screziati.
Notis e lo sceicco si misero alla testa, ritti in sulla gobba degli animali onde abbracciare maggior orizzonte e gli altri si misero a loro dietro in lunga fila, colle lancie gettate a bandoliera e i moschettoni e gli jatagan in mano.
— Credi che abbiamo fatto molta strada? chiese Notis dopo qualche tempo.
— Dalle traccie lasciate sul suolo arguisco che i loro mahari andavano di corsa, rispose Fit Debbeud. Credo non ingannarmi se dico che siamo lontani da loro un cinque o sei miglia.
— Dove ti sembra che si dirigano queste traccie?
— Per ora si mantengono diritte ai monti Arab Mussa, ma sono sicuro che non tarderanno a piegare verso il Bahr-el-Abiad.
— Credi tu che si rechino a Chartum pel fiume?
— Sì, vi andranno pel fiume. Tu sai che vi sono delle bande d’insorti disperse per le Gemaije che vivono di saccheggio e che trafficano in carne umana. Gli Egiziani s’imbarcheranno, se non a Mahawir, almeno a Quetêna.
— Non bisogna lasciare loro il tempo di giungere al fiume, disse Notis.
— Non avere paura, padrone; questa notte accamperemo nella pianura.
— Bisogna che noi li circondiamo per bene se vogliamo ammazzarli tutti quanti. Fathma cadrà in mia mano e allora sfido Allàh a portarmela via.
Non bestemmiare, disse lo sceicco sorridendo. E quando l’avrai, ritornerai tu a Chartum? Non mi pare che sia cosa prudente.