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Queste ragioni, che non mi sembrano superficiali, sono vieppiù avvalorate dalle condizioni presenti. Gli sconvolgimenti politici, la cifra sterminata degli eserciti, il clero che rappresenta esso pure una cifra enorme d’uomini refrattarii alla famiglia, le sventure fondiarie che incariscono i generi di prima necessità, sono cause molteplici di un’unico effetto, la scarsezza dei matrimonii. Finchè dunque la donna ha d’uopo del marito per vivere, essa è condannata alla fame. Pretendere, come da taluni, poco avvezzi a riflettere, si pretende, che tutta questa massa si versi sopra le poche ed infime industrie accessibili alla donna e viva di quelle, è pretendere l’impossibile nell’ordine materiale, l’atroce nell’ordine morale.

L’impossibile, perchè dandoci le statistiche un’egual cifra complessiva degli individui dell’uno e dell’altro sesso, ne risulta che, se ad alimentare la massa virile sono necessarii tutti gli impieghi, tutte le professioni, tutte le arti, tutte le industrie, come sarà poi possibile che un’altra massa eguale possa tutta vivere di pochissime ed infime industrie? Obligare poi a queste infime industrie la donna di rango, questo è ciò che chiamiamo atroce. Eppure è questa la condizione, che si stima molto conveniente alla donna da Proudhon, da Comte, da Michelet, dal Gabba, dall’eccelso Senato e dal ministro, i quali al coperto da siffatti crucci, dicono alla donna ciò che quell’ingenua principessa, ignara che vi fosse una