Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
— 164—
scottato le dita di un peccatore inconfesso, o di
Sàtana apparso a quella imprudente, che avèagli
scritto, per ischerzo, una lèttera. E Ricciarda
dal celestissimo sguardo confida alle amiche,
con un tremolio di voce, di averlo veduto lei,
il Maligno, una volta alla grata del parlatorio
e un’altra al graticcio del confessionale, che
«si sarebbe» — dice — «in buona coscienza
potuto pigliare per un galantuomo», aggiungendo
come talora, la notte, nelle trasparenze
del sonno, una mano, aspra quale il zigrino, le
frisasse la guancia (che era polve di piuma di
cigno) o le stirasse il cirro riottoso che pendèvale
in fronte o le aggroppisse i capelli, perfino
osando (qui sosta) di palleggiarle le rotondità
più gelose. Sul che, la bionda Orsolina dal
colmo seno cela arrossendo la faccia contro la
spalla di Edvige, la maritina di lei, la quale,
beccando via il dire a Ricciarda, prende a narrare
della fragranza miracolosa che emana l’arca
della lor Protettrice, una fragranza di mela cotogna,
e del giglio (altro letale presagio) trovato
sulla coral manganella di.... e lì addita a una
suora. È suor Clara, la sempre estàtica suora,
dal volto che è un barlume di perla, dalla persona
che è nebbia. Clara è in piedi, poggiata
ad una finestra. Tien la pupilla, cupidamente,
nella bujissima notte esteriore, dove la màgica
lampa del suo acceso cervello dardeggia una
processione di forme; tiene la palma dietro l’orecchio,
quasi a raccògliere gli echi di una lon-